11:45 | Immagini inedite. La Catacomba di Via Anapo

Scoperta casualmente il 31 maggio del 1578 da alcuni operai incaricati di estrarre la pozzolana presso Vigna Sanchez, sulla via Salaria, la catacomba attirò immediatamente l’attenzione per la quantità e la qualità delle epigrafi e degli affreschi conservati nella sua rete di gallerie. Oltre ad un gran numero di curiosi, accorsero per ammirarle anche le più eminenti personalità dell’epoca, umanisti ed alti prelati, tra i quali il cardinale oratoriano Cesare Baronio, che definì il cimitero una vera e propria “città sotterranea” (subterranea civitas). A seguito di un crollo dovuto alle attività di cava, che nel frattempo proseguivano, la catacomba andò nuovamente perduta e cadde nell’oblìo fino al 1921, quando fu riportata alla luce durante i lavori di costruzione di un villino.

In un primo momento variamente identificata con uno dei diversi nuclei cimiteriali gravitanti nell’area della via Salaria – dal cimitero di Priscilla alla catacomba dei Giordani – con gli studi più recenti ha acquisito la sua attuale denominazione di catacomba “anonima” di via Anapo, poiché non corrisponde a nessuno dei cimiteri cristiani menzionati nelle fonti antiche. La sua origine è da collegare all’ampliamento di un nucleo sepolcrale ipogeo di carattere privato, che nella seconda metà del III secolo d.C. inglobò le gallerie di una preesistente cava di arenaria abbandonata, nelle quali le sepolture mostrano caratteristiche omogenee sia nelle forme che nell’apparato decorativo ed epigrafico.

Dall’estremità orientale dell’arenario, in un momento di poco successivo, partì l’escavazione di vere e proprie gallerie cimiteriali, ampliate e approfondite a più riprese, fino all’abbandono della catacomba, che si può collocare nell’ambito del V secolo. La breve estensione del cimitero parrebbe suggerirne l’utilizzo da parte di una comunità piuttosto ristretta che si serviva di maestranze proprie, come dimostrerebbe il carattere uniforme e particolare delle tipologie sepolcrali e del formulario epigrafico, nonché la selezione tematica dell’apparato pittorico.

Nei tipici nicchioni e nei più consueti cubicoli, infatti, si trovano le pregevoli decorazioni ad affresco che tanta meraviglia avevano suscitato al momento della scoperta. Oltre alle rappresentazioni del Buon Pastore e dell’Orante, si possono riconoscere gli episodi veterotestamentari legati ai cicli di Noè, Abramo, Daniele, Giona e dei tre giovani fanciulli ebrei di Babilonia, ma anche quelli ispirati ai miracoli del Nuovo Testamento, come la resurrezione di Lazzaro e la moltiplicazione dei pani. Di particolare importanza è la rappresentazione di uno dei più antichi Collegi Apostolici, che mostra il Cristo circondato dai dodici apostoli disposti simmetricamente ai suoi lati.

In molti casi le immagini sono incorniciate da festoni floreali oppure sistemate su un tappeto di petali e boccioli, come, ad esempio, nel caso dell’immagine del puttino disteso su un letto di rose. Questo espediente figurativo permette di proiettare immediatamente le rappresentazioni in un contesto paradisiaco: le rose, in particolare, alludono alla felicità oltremondana e alla beatitudine eterna, collegandosi anche alle offerte di fiori che venivano portate sulle tombe durante le celebrazioni dedicate alla memoria dei defunti e soprattutto alla festa dei rosalia, o dies rosationis – i giorni degli ornamenti con le rose – che cadeva tra maggio e luglio, nel periodo della fioritura.